UN INDIMENTICABILE VIAGGIO DI NOZZE
di Leandro e Stefania Monterisi
(25 maggio - 20 luglio 1995)
Con le immagini ancora impresse nella mente della tantissima gente che aveva partecipato alla celebrazione del nostro matrimonio, ci siamo diretti verso la porta d’imbarco sull’aereo per il Mozambico, salutando, nella commozione generale, i preoccupati genitori ed i tanti amici che neanche all’aeroporto avevano fatto mancare la loro presenza.
Avremmo voluto fermare il tempo per assaporare meglio i doni con cui Dio già stava ricambiando la nostra incondizionata scelta di seguirlo, rinunciando alle sicurezze ed entrando nel matrimonio con la sola fiducia in Lui.
Sentivamo molto forte in quei giorni il desiderio di abbracciare e ringraziare personalmente tutti coloro che, con nostra grande sorpresa, avevano aderito gioiosamente al nostro progetto di vita, regalandoci indimenticabili parole e gesti di affetto. Ma non c’era tempo!
Ciò che di più bello ed importante il Signore ci aveva riservato era lì, al di là di quella porta d’imbarco, lontano migliaia di chilometri dall’Italia, in Mozambico, fra quella gente povera ed abbandonata, dove eravamo chiamati a dare testimonianza dell’Amore di Dio.
Siamo partiti con quello stato d’animo, verso una terra a noi sconosciuta, consapevoli delle difficoltà che potevamo incontrare, ma pronti a tutto pur di restare fedeli al progetto di Dio su di noi.
Perché il Mozambico?
Abbiamo scelto il Mozambico perché, come francescani sentivamo il bisogno di cominciare il nostro cammino matrimoniale con i poveri ed i più bisognosi, laddove avremmo avvertito più vicina la presenza di Gesù Cristo.
Sapevamo che il Mozambico, uscito qualche anno prima da una dissanguante guerra civile, risultava essere il Paese più povero al mondo e soprattutto che lì, da 45 anni, i Missionari cappuccini di Puglia svolgevano la loro difficile opera di evangelizzazione e di sostegno materiale della popolazione.
Non c’era dubbio che, proprio in quella terra, il Signore ci chiamava a vivere questa nostra esperienza.
Maputo, una difficile realtà
L’impatto con questo mondo, giungendo a Maputo, capitale a sud del Paese, non è stato facile. Ci siamo subito resi conto delle condizioni di miseria in cui viveva la popolazione: le strade brulicavano di bambini che vendevano qualsiasi cosa, gruppi di persone erano seduti agli angoli delle strade dissestate senza far nulla.
Padre Gabriele che ci ha accolto all’aeroporto, insieme alle affettuosissime suore francescane, ci ha fatto un primo quadro della situazione in città: c’è molta violenza, brigantaggio, la polizia è connivente e tutti sono armati; rubano, rapinano e, se si fa resistenza agli aggressori, uccidono per non essere riconosciuti. Il padre ci parlava con grande serenità, ma noi, guardandoci attorno, siamo restati un po’ impauriti.
Giunti alla casa missionaria, protetta ovunque da grandi cancellate, ci siamo chiusi dentro quasi istintivamente per allontanare qualsiasi pericolo. È tra quelle quattro mura però che, riflettendo, abbiamo fatto chiarezza sul nostro viaggio: i rischi li avremmo corsi ogni giorno e se avessimo continuato a seguire il nostro istinto di esasperata auto protezione, tipicamente occidentale, ci saremmo sicuramente chiusi a qualsiasi vero contatto con la gente.
Eravamo chiamati ad abbandonarci al Signore, confidando soltanto in Lui e donando quel che potevamo donare di noi stessi a quegli “ultimi”.
I giorni successivi, pertanto, abbiamo subito cercato i primi contatti con la gente.
Abbiamo visitato il mercato, uno dei posti di maggiore confusione, ma anche di maggiore miseria. Vi erano così tante persone sedute per terra che per camminare eravamo costretti a fare grandi passi, cercando di mettere i piedi in quei pochissimi spazi non occupati. Ognuno si improvvisava a vendere qualcosa: frutta, gruzzoli di agli, foglie di tè e tabacco; tutti prodotti che acquistavano per strada dai fornitori. Il loro guadagno di un’intera giornata era una miseria e per di più dovevano ogni giorno pagare una tassa per la vendita, la cui ricevuta veniva da tutti esposta vicino alla merce.
Quello che più ci impressionava, erano i volti consumati delle mamme che, sedute per terra, cercavano di vendere qualcosa e nel frattempo allattavano o cucinavano in piccoli recipienti di latta per i loro bambini, sistemati alla ben meglio sul terreno fra cumuli di rifiuti, in precarie condizioni di igiene.
Dai volti di quelle donne traspariva un forte senso di rassegnata accettazione delle loro miserie e, ciononostante, non perdevano mai l’occasione di regalarti un dolcissimo sguardo o un allegro saluto.
In quella, come in tantissime altre occasioni, consapevoli della nostra impotenza dinanzi a quelle situazioni di povertà, sentivamo nascere dentro di noi un forte senso di condivisione, a tal punto che nulla ci sembrava più bello che rimanere con loro a condividere la loro pochezza.
I bambini
Mai dimenticheremo le miriadi di bambini che abbiamo conosciuto, accarezzato, preso in braccio e, quando ce n’era la possibilità, anche medicato.
Per ognuna delle tantissime occasioni che abbiamo avuto per stare con loro, c’è un particolare o un’immagine che ricorderemo per sempre: la tenera disciplina con cui centinaia di bambini della strada, a Maputo, si sistemavano ai tavoli in attesa della mensa preparata dalle suore francescane; le mani ed i piedini gelidi dei poverissimi bambini delle aride zone di Cabo Delgado, spesso malati di anemia o dissenteria, lasciati a se stessi in preda a volte ai dolorosi pruriti della scabbia;
i piccoli bambini di Churi che di loro iniziativa hanno cantato e danzato per noi; i bravissimi ragazzini ed anche ragazzine con cui abbiamo improvvisato bellissime partite di calcio sul campo della missione di Nangololo; i terrorizzati bambini di Montepuez che fuggivano alla vista di un bianco;
i bambini di Inhassunge, dalle pance spesso gonfie di parassiti, che con gioia ci salutavano e rincorrevano quando passavamo con la jeep;
i dolcissimi bambini di Biganjira, che si sono teneramente lasciati lavare e disinfettare da noi, per impedire che le mosche si posassero su di loro; le centinaia di bambini della Scuola dei Martiri a Quelimane, che ci hanno accolto con festosi canti
e quelli i Mitange, sull’isola di Micaune, che ci hanno accompagnato a piedi per 12 chilometri fino all’oceano, regalandoci anche delle bellissime ghirlande di fiori…
e così tante, tante e tante altre occasioni in cui questi indimenticabili angioletti hanno scosso il nostro cuore con forti emozioni.
I Missionari, un esempio per tutti
Era nostra intenzione trascorrere questi due mesi vivendo tra la gente, ma questo non ci ha impedito di conoscere anche tantissimi posti, splendidi dal punto di vista naturale, percorrendo con la jeep, insieme a P. Francesco Monticchio o ad altri padri, più di seimila chilometri lungo tutto il Mozambico. Sono stati viaggi che ci hanno anche provato fisicamente, spesso attraversando foreste e percorrendo strade in pessime condizioni, anche per intere giornate.
Proprio questa però è stata una vera fortuna, perché, abbiamo conosciuto, oltre a tanti villaggi e comunità, anche un’infinità di frati, padri e suore, missionari di diversi ordini religiosi, che hanno speso, a volte in posti sperduti, un’intera vita per i poveri e che avrebbero tante incredibili e bellissime loro storie da raccontare.
Saremmo rimasti ore intere a guardarli e ad ascoltarli, mentre ricordavano soprattutto i terribili lunghi anni di guerra in cui rischiavano ogni giorno la pelle e subivano violenze e soprusi, anche soltanto per essersi messi dalla parte del popolo.
In quei momenti pensavamo al nostro “progredito” mondo occidentale e ci faceva tanta rabbia l’idea che di queste persone eccezionali, alcune delle quali hanno dato anche la vita per amore dei propri fratelli, non si conosca niente o quasi.
I mass media dovrebbero trasmettere, come prime notizie, le gesta di costoro, ancor prima di illustrare le miserie di questi paesi del Terzo Mondo, per far capire a tutti che, se è vero che c’è tanta gente che soffre e muore per i nostri egoismi, c’è anche gente che lotta ogni giorno per salvarli e confortarli e da questi uomini noi tutti dovremmo imparare.
Incontro con le comunità
Laddove avevamo la possibilità di sostare per molti giorni, soprattutto presso i villaggi lontani dai centri urbani, abbiamo avuto l’opportunità, grazie all’indispensabile aiuto dei Padri che ci accompagnavano, di parlare alle comunità cristiane, riunite quasi sempre nelle chiese, testimoniando la nostra esperienza di francescani e portando loro un messaggio di speranza ed un incoraggiamento a crescere nella fede.
La loro risposta ci ha sempre commosso: le loro profonde parole di affetto ed i loro bellissimi gesti di riconoscenza sono rimasti scolpiti nel nostro cuore.
La loro fierezza di essere cristiani, la grande dignità nelle loro miserie, il loro forte senso dell’accoglienza e dell’ospitalità, la loro umiltà e capacità di ascoltare, sono state per noi una benedizione di Dio ed un grandissimo insegnamento, molto più di quanto lo siamo stati noi per loro.
Come aiutarli?
Ovunque c’è tanto, tanto da fare. Le vie di comunicazione sono in pessime condizioni, distrutte dalla guerra ed in totale degrado: mancano dappertutto i farmaci e gli ospedali sono fatiscenti, non ci sono dottori e la gente, rassegnata, rinuncia persino ad andare in ospedale; in molte zone manca l’acqua e l’istruzione, soprattutto femminile, è quasi inesistente.
Nonostante l’inevitabile sensazione d’impotenza davanti a queste terribili situazioni di miseria, ci siamo resi conto che molte cose potrebbero migliorare se ognuno di noi, con qualche sacrificio, donasse un po’ del proprio tempo tra questa gente, insegnando loro un mestiere o una professione, mettendo a disposizione una propria capacità lavorativa, supportando, non solo economicamente, le attività sociali dei missionari o anche soltanto portando la propria testimonianza di amore e di solidarietà. Sono piccoli doni che ciascuno potrebbe offrire a questi nostri fratelli per consentire loro, evitando qualsiasi forma di mero e dannoso assistenzialismo, di venir fuori con le proprie forze da questa terribile situazione di stenti e di abbandono.
Maestri di vita
Purtroppo la povertà e le malattie non sono gli unici problemi che affliggono il popolo mozambicano: un continuo pericolo per la loro esistenza è rappresentato dagli animali.
Soprattutto nella vasta area ricca di acque della Zambesia, i coccodrilli minacciano quotidianamente la vita di coloro che si avventurano con le canoe nei fiumi o vanno a coltivare il riso; gli ippopotami e gli elefanti sono una vera e propria calamità per le coltivazioni: a Mopeia ne abbiamo personalmente constatato i danni.
Per non parlare poi delle onnipresenti zanzare malariche, dei serpenti velenosi, delle formiche carnivore, delle fiere e di ogni altra sorta di minaccia che proviene dal mondo animale. È un contesto ambientale così pieno di insidie, che verrebbe facile pensare ad una situazione drammatica e di sfiducia in cui la gente vive. Ma non è così.
Stando tra loro, abbiamo potuto constatare come essi affrontino le malattie ed i pericoli della natura con grande serenità e spirito di accettazione, riuscendo a convivere in grande armonia con la natura.
È un modo di affrontare la vita che ci ha insegnato molto: ci siamo riscoperti esageratamente proiettati su noi stessi, con la tendenza a dare sempre importanza ad ogni minimo rischio o problema di salute quando invece è proprio spostando l’attenzione da noi stessi a quanto ci circonda, apprezzandone anche la bellezza e l’Amore con cui tutto è stato creato, che si comincia veramente ad aver “cura”di se stessi.
Ci sono risuonati così veri, in quelle circostanze, gli insegnamenti di S. Francesco.
Certo per noi “civilizzati”, abituati alle comodità, non è stato subito facile adeguarsi alle situazioni più disagiate, specie nelle zone dove la natura era del tutto selvaggia. Il nostro desiderio di adattarci e di condividere tutto ci ha consentito comunque di superare alcuni difficili momenti, come, ad esempio, le notti trascorse in una capanna sulla sperduta isola di Micaune, cercando di prendere sonno distesi su dure tavole di legno, assediati da zanzare, scarafaggi e topi che camminavano lungo il soffitto proprio sopra di noi.
In queste, come in tante altre difficili circostanze, abbiamo avvertito forte il bisogno di affidarci completamente al Signore ed è allora che abbiamo sentito la sua dolce e rassicurante Presenza.
Tirando le somme
Volendo tirare le somme di questa lunga, splendida esperienza in Mozambico, possiamo dire che nessun altro viaggio di nozze avrebbe potuto regalarci così tante emozioni ed insegnamenti, lasciandoci certo nel cuore una profonda amarezza per le tante tristi situazioni di miseria che abbiamo conosciuto e di cui tutti dobbiamo sentirci responsabili, ma anche la consapevolezza di aver dato un piccolo contributo affinché, questa gente, prediletta da Dio, non perda la speranza in un futuro e in un’umanità migliori.
UN TESORO IN CIELO
Ringraziandoancora una volta tutti coloro che hanno generosamente aperto il loro cuore alle necessità dei poveri del Mozambico, vi rendiamo noto il modo in cui abbiamo destinato, con la collaborazione del Segretariato Estero Missioni Cappuccine di Bari, la somma di denaro raccolta in occasione del nostro matrimonio. La bellissima esperienza vissuta quest’anno in Mozambico nei mesi di giugno e luglio, ci ha consentito di conoscere personalmente la situazione di miseria e di abbandono in cui vive questa splendida gente, visitando moltissime comunità e villaggi lungo tutto il Paese.
Sulla base di quanto abbiamo visto e di quanto ci hanno detto i Frati Missionari che vivono laggiù, abbiamo pensato di devolvere il denaro raccolto, ammontante complessivamente a lire 35.100.000, nel modo seguente:
- lire 6 milioni alle suore francescane di Maputo che, tra tante difficoltà, con autentico spirito di donazione, provvedono quotidianamente a preparare un pasto caldo per i tantissimi bambini della strada che lottano ogni giorno per sopravvivere, accogliendoli nella loro casa.
- lire 6 milioni alle umili e laboriosissime suore francescane di Quelimane che si occupano del recupero di tanti ragazzini abbandonati e spesso orfani, segnati dagli orrori della guerra, fornendo loro una casa dove poter vivere, del cibo e del vestiario.
- lire 6 milioni per la realizzazione di un progetto idroelettrico (pozzo artesiano con pompa ad energia solare o, se ce ne saranno le condizioni – per l’accertamento delle quali sono già in corso delle perizie – una centralina idroelettrica) sul popoloso altipiano di Nangololo, dov’è la missione padre Francesco e dove, per la carenza di acqua, la gente vive con gravissimi problemi di salute e di alimentazione.
- lire 6 milioni alle scuole di Quelimane (Scuola dei Martiri di Inhassunge) e di Mugore (sulla “dimenticata” isola di Micaune) dove, per far fronte all’enorme carenza di istruzione, rispettivamente fra’ Antonio e padre Leone sostengono l’attività di insegnamento svolta da diversi professori ex seminaristi, a favore di tantissimi bambini e ragazzi divisi in numerose classi.
- lire 1 milione alla bravissima ed infaticabile suor Roselda di Montepuez che, col suo duro lavoro di infermiera nei fatiscenti ospedali locali, insieme ad altre consorelle, da moltissimi anni sopperisce ogni giorno alla mancanza di personale medico e di medicinali, salvando tanta gente.
- lire 2 milioni all’eccezionale padre Chimoio, Viceprovinciale, quale contributo per far fronte alle tante esigenze della sua Viceprovincia e della casa di S. Francesco a Quelimane, nella quale siamo stati gentilmente ospitati.
- lire 1 milione alla casa dei postulanti di Inhassunge dove padre Gaetano e padre Alfonso, in grande armonia e spirito di collaborazione, si occupano della crescita delle giovani vocazioni sacerdotali.
- lire 700 mila per provvedere al vestiario, ad alcuni necessari medicinali, nonché alla costruzione di una palhota – tipica casa indigena – per due poverissime famiglie, l’una di Inhassunge (Alfonso, con seri problemi muscolari alle gambe, rimasto solo con la piccola figlia Cecilia, dopo la morte dei suoi cinque giovani figli e della moglie, deceduta l’anno scorso di colera), l’altra di Biganjira (Fatima, di appena 20 anni, abbandonata dal marito, con tre bellissimi figli, di cui la più grande, cieca dalla nascita), che abbiamo adottato a distanza.
- la restante somma di lire 6 milioni e 400 mila è stata utilizzata per far fronte agli indispensabili trasferimenti aerei che ci hanno consentito di arrivare in Mozambico e di visitarlo in quasi tutte le sue zone. La nostra felicità è sapere che in questa occasione tanta gente ha compiuto un bellissimo gesto d’amore e, come ci ha rivelato Gesù, ha in questo modo accumulato un tesoro in cielo, dove né tignola né ruggine consumano …e dove un giorno sarà anche il loro cuore. Ancora una volta grazie.
Maputo, 20 luglio 1995
Leandro e Stefania