ESCI DALLA TUA TERRA E VA...!

di Antonio Baccarelli

Antonio Baccarelli, giovane volontario, riceve il mandato dal suo Vescovo e dalla sua Comunità alla vigilia della partenza per il Mozambico

 

In un’atmosfera di commossa partecipazione, il 28 gennaio, nell’affollata chiesa Matrice di Castellana Grotte, il Vescovo della Diocesi di Conversano-Monopoli, Monsignor Padovano, ha presieduto la celebrazione del mandato missionario ad Antonio Baccarelli, giovane odontotecnico di 27 anni, che, dopo una lunga attesa durata tre anni, ha concretizzato il suo progetto di donare due anni della sua vita alla missione di Nangololo in Mozambico.

Avviato già da anni in un cammino di ricerca spirituale (vedi Missionari Nostri n.4/’95), Antonio aveva già fatto due brevi esperienze missionarie in Brasile e in Mozambico. Soprattutto quest’ultima esperienza ha fatto maturare in lui il progetto di dedicarsi alla missione per un più lungo periodo. Insieme alla determinazione di realizzare questo disegno, cominciarono a prendere corpo innumerevoli difficoltà nell’ambito della famiglia, del lavoro, del quotidiano, della soluzione di problemi tecnici per la realizzazione di un laboratorio odontotecnico in missione. Nulla è valso a distogliere Antonio da quell’obiettivo che si delineava via via più chiaramente, malgrado gli impedimenti, le paure e i dubbi, e forse proprio in virtù di questi: “... Il vero cristiano - ha detto il Vescovo nella sua omelia - sceglie la strada difficile, e la percorre fino in fondo.”

Sicuramente non ha avuto il consenso di tutti, benché fosse lecito ed umano auspicarlo, ma “ il vero cristiano  - ha detto ancora il Vescovo - non cerca il consenso” e Antonio ha affermato: “Parto portando nel mio cuore e rappresentando in quelle terre lontane anche coloro che non hanno condiviso la mia scelta, con la speranza che il Signore operi in loro, così come ha operato in me”.

Rispondendo ad una precisa richiesta della popolazione di Nangololo, Antonio espleterà la sua professione di odontotecnico, ma questo sarà solo un aspetto del suo operare. Come ha detto il suo Parroco don Vincenzo Vitti, presentandolo al Vescovo, egli sarà un collaboratore laico del missionario, “crescendo nella fede, ha maturato la decisione di andare oltre ciò che è ordinario nella vita, per mettere la sua vita a servizio del Vangelo per l’evangelizzazione dei popoli. Si rinnova così l’esperienza della Chiesa delle origini, la quale inviava i suoi figli non solo a confermare nella fede i propri fratelli, ma anche ad annunziare il Vangelo ai popoli e a far crescere la solidarietà nel mondo.”.

Il vero cristiano nel valore di una scelta

Ricca di significato l’omelia del Vescovo. Nel Vangelo Cristo non dà delle costrizioni e tanto meno delle prescrizioni di vita per il vero cristiano. Nel Discorso della Montagna Cristo fa un appello alla felicità di cui traccia le linee essenziali elencando una serie di beatitudini. Beati i poveri, i miti, gli umili, i misericordiosi, i giusti, i puri..., perché grande sarà la loro ricompensa. E’ una logica all’incontrario, che non coincide con quella del mondo e che mette in crisi il pensare comune. “Il vero cristiano, ha detto monsignor Padovano, sceglie la strada in salita, difficile e faticosa ed è capace di seguirla fino in fondo, costi quello che costi. Il vero cristiano non cerca il consenso e non ha paura di essere solo. Va diritto per la sua strada, puntando sui valori in cui crede, e il primo valore per lui è Cristo. Con la sua testimonianza e coerenza egli traccia una strada anche per gli altri, procurando fastidio ai benpensanti disturbandone la quiete. Quando il cristiano vive fedelmente il Vangelo diventa presenza scomoda e profetica. Diventa capace di pagare serenamente il prezzo dell’incomprensione, della solitudine, del sospetto, del pregiudizio. Diceva Papa Giovanni: “Se al cristiano tirano sassi, non si china a raccoglierli per rilanciarli”.

Antonio parte per l’Africa, per la terra di missione, lascia la sua casa, il suo lavoro. E’ stato chiamato per affiancare i padri Cappuccini nell’annunciare il Vangelo e nel far crescere la solidarietà verso questi popoli lontani da noi. E’ parte della nostra comunità. E’ lo Spirito Santo che ha soffiato sulla comunità della Chiesa Matrice di Castellana e ha detto ad Antonio: “Esci dalla tua terra e va!” Antonio va in terra di missione per diventare fermento di vita al servizio di una Comunità che ha bisogno di testimoni. Va ad aiutare le giovani Chiese che in Africa sono in cammino lungo la storia. La nostra comunità non si impoverisce, anzi egli diventa una bandiera per tutti gli altri giovani, un segnale, una profezia di luce, di generosità di dedizione al Vangelo. Antonio parte a nome della nostra Chiesa, portando in Africa la fede della nostra comunità. E la comunità o è missionaria o non è comunità. Per essere Chiesa, ha detto il Papa, la Chiesa deve essere missionaria. La Chiesa ritrova se stessa uscendo da se stessa e andando verso gli altri. Siamo grati a questi genitori che hanno messo al mondo un giovane che ha avuto la fortuna di essere chiamato da Dio.

Partendo Antonio crea tra noi e il mondo un vincolo in più. Con il suo slancio controbilancia le nostre pesantezze, la nostra anima sedentaria, partendo ci provoca all’essenziale della vita, donarsi e donare; ci indica i rettilinei della semplicità, del coraggio, della donazione totale, noi che siamo appesantiti dai bagagli del consumismo, dell’egoismo, della mediocrità

Ci auguriamo che lo Spirito Santo moltiplichi queste chiamate nelle nostre comunità. Allora potremo dire che la nostra Chiesa è missionaria.” 

 

Perché andare...

Dopo una lunga attesa parto in un Paese del Terzo Mondo, come volontario laico. Qualcuno si chiederà quale sia il senso della presenza di un laico in una missione in cui già operano dei missionari. Per un popolo quale quello del Mozambico che è vissuto per secoli in funzione dell’uomo bianco, il Missionario era in molti casi l’unico riferimento a cui chiedere giustizia e aiuto, questo perché il missionario era visto al di sopra delle parti. Io, laico, presentandomi come un comune bianco, identico a quelli che li avevano oppressi, ma con la volontà di porgere una mano di aiuto, aprirò forse uno spiraglio di luce nuova. Questa luce però sarebbe molto debole ed in parte falsa se ad alimentarla ci fossi solo io. E’ quindi fondamentale il mio ruolo di ponte, di portavoce di una comunità che condivida questa scelta e questi ideali. Così la mia presenza in quei luoghi non si ridurrà ad un fatto puramente tecnico, ma sarà soprattutto un messaggio umano.

Quello che io farò potrà spaziare dalla mia attività di odontotecnico a qualsiasi forma di promozione umana. Toccherà poi a me mettercela tutta per operare sempre in quell’ottica di cui parlavo.

Non posso che concludere esprimendo il mio giudizio su una frase che in questi ultimi mesi mi è stata rivolta più volte: ”Perché lo fai, tanto non cambierai niente”. La cosa strana è che in parte sono d’accordo e, forse, sarei veramente pazzo se pensassi il contrario.

Il problema va posto, secondo me, in maniera diversa. Noi che ci dichiariamo cristiani non possiamo agire solo in situazioni semplici e chiare. Credo, invece, che, proprio rifacendoci all’insegnamento di Cristo, siamo costretti a reagire. Il nostro dovere è quello di lottare per il raggiungimento di ideali di pace e giustizia e non solo se se ne intravede l’attuazione. In altre parole penso che l’amore verso i fratelli, in qualsiasi modo si esprima, non può essere donato facendo dei calcoli. L’importante è non nascondersi dietro la scusa del “tanto non cambierà nulla”, per giustificare il nostro poltrire, perché, così facendo, sprofonderemmo tutti nell’ingiustizia.

Spero con questi presupposti di poter essere portavoce di quanti più possibile. Colgo l’occasione per ringraziare quanti si sono impegnati per aiutarmi, mostrandomi così la loro adesione e questo è molto bello, perché rende più viva la mia presenza in quei luoghi.

Nella speranza di essere degno di questa responsabilità, ringrazio e saluto tutti.

 

 

UNO DI NOI HA TROVATO LA STRADA

di Francesco Lavarra

 

 

Eravamo riuniti per uno degli incontri estivi dei gruppi Shalom di Castellana, quando Antonio annunciò a tutti il suo proposito di partire per il Mozambico come missionario laico. Inutile dire con quale sorpresa tale notizia fu accolta, poichè Antonio, pur covando da anni questo progetto, non ne aveva mai fatto parola con nessuno. La prima sensazione fu sicuramente di grande dispiacere al pensiero della separazione che sarebbe seguita. Certe decisioni non possono non turbare e non lasciare il segno: noi dei gruppi Shalom facciamo insieme il nostro cammino di fede, siamo persone in ricerca, e vedere che uno di noi ha già trovato ciò che gli altri stanno ancora cercando mette un po’ in crisi; al tempo stesso, però non si può che provare gioia, pensando come questa persona stia realizzando qualcosa che, in piccola parte, è il frutto di quella spiritualità che stavamo costruendo insieme. Antonio si fa portavoce di tutti noi, è colui che per primo ha portato all’esterno, concretizzandoli, la spiritualità e l’impegno del nostro giovane gruppo e noi, prima o poi, speriamo di poter seguire il suo esempio.

Ci siamo stretti intorno a lui seguendo le sue vicissitudini e le trepidazioni dei preparativi, l’ansia dei suoi genitori, le difficoltà e gli ostacoli che hanno fatto più volte slittare la partenza ed hanno scatenato una gara di solidarietà fra tutti i gruppi di cui Antonio fa parte. Diverse sono state le iniziative a cui questi gruppi hanno dato vita e a cui la gente ha risposto con generosità. E numerose sono state anche le occasioni per stare ancora un po’ di tempo con lui, convivialmente, ogni volta col pretesto di dargli l’ultimo saluto prima della partenza. Momenti commoventi, che lui sapeva sdrammatizzare col suo atteggiamento sicuro e deciso e soprattutto col buonumore e una grande serenità, riuscendo  sempre a fugare ogni ombra di tristezza in chi gli è stato vicino.

Realmente commovente, invece, la messa durante la quale il Vescovo ha dato il suo mandato ad Antonio, figlio della comunità castellanese, che assume un ruolo di ponte fra questa comunità e la gente tra cui si accinge ad operare. Una partecipazione intensa e sentita da parte della comunità e soprattutto dei gruppi e delle associazioni di cui Antonio è figlio, di tutti coloro che hanno voluto testimoniare la loro ammirazione  e la loro condivisione. E ogni volta, fra tante manifestazioni di affetto, il volto di Antonio, incredulo e confuso da tante attenzioni, esprimeva l’umiltà di chi, sentendosi chiamato a svolgere un servizio, non si rende conto fino in fondo di fare qualcosa di grande.