IN AIUTO DEI MISSIONARI E PER SOLIDARIETA' CON IL POPOLO
di Dorotea Colella con la collaborazione del marito Pino
L’esperienza lontana di Pino Colella, socio di OASI
La stoffa dei soci viene da esperienze concrete sul campo
Due agosto 1994, una data importante per me e per mio marito: partiamo per il Mozambico!
Scopo del viaggio è stato quello di dare un piccolo aiuto a Padre Francesco Monticchio, uno dei nostri Cappuccini di Puglia, missionario a Nangololo; la nostra presenza in Africa, presso le missioni operanti in quel lontano ed affascinante Paese, era stata più volte sollecitata sia da Padre Benito, sia dallo stesso Padre Francesco, i quali, conoscendoci già da anni, avevano ritenuto che un nostro viaggio a Nangololo potesse essere utile alla comunità.
Infatti, Padre Francesco aveva in progetto di continuare il lavoro di ristrutturazione e rifacimento dell'antica missione di Nangololo, abbandonata dai Padri Monfortani nel 1964 quando, con l'inizio della rivoluzione contro il colonialismo, tutti i missionari dovettero abbandonare il Paese.
L'abbandono prima, e poi l'utilizzo da parte delle due fazioni in guerra, aveva ridotto la costruzione ad un rudere cadente; con l'entusiasmo e l'abilità che lo caratterizzano, padre Francesco aveva accettato il compito di ristabilire la presenza dei missionari sull'Altopiano Makonde e, con un lavoro che merita tutta l'ammirazione possibile, soprattutto conoscendo le condizioni in cui ha dovuto operare, ha ripristinato la costruzione originaria.
Subito dopo ha deciso di avviare la costruzione di una dipendenza per l'accoglienza dei laici che in futuro avessero sentito il desiderio di partecipare alla sua opera, ma questa volta ha chiesto l'aiuto di una persona in grado di avviare la costruzione partendo da zero e capace di insegnare agli operai ingaggiati per il lavoro un nuovo modo di costruire.
Date queste premesse, come potevamo ignorare l'affettuosa richiesta di collaborazione?
Siamo partiti, ma quante ansie, quanti pensieri, quanto desiderio di essere veramente utili ci hanno accompagnato durante il lungo viaggio, prima di giungere a Nangololo !
Quando però siamo arrivati, la cordialità con cui tutti ci hanno accolti, l'amicizia e l'affetto che tutti ci hanno dimostrato come se ci conoscessero da tempo, ha cancellato di colpo i nostri timori e ci siamo sentiti come a casa. Per tutto il tempo in cui siamo rimasti con padre Francesco, coinvolti nei problemi che continuamente si presentavano e chiedevano di essere risolti con quello di cui si disponeva, non abbiamo sentito alcuna nostalgia della nostra casa che avevamo lasciato.
Già dal momento in cui siamo giunti a Maputo, prima tappa del nostro viaggio, abbiamo incontrato e conosciuto persone di grande umanità, dai padri Cappuccini che ci hanno ospitato nella loro casa, all'indimenticabile suor Annamaria, alla simpatica suor Pasqua e a Benjamin; il nostro ricordo va anche alle tante altre suore che abbiamo incontrato durante il viaggio e che hanno dedicato la loro vita al servizio dei nostri fratelli africani.
Dopo il lungo viaggio in jeep da Pemba, siamo finalmente arrivati di sera a Nangololo ed abbiamo trovato ad accoglierci fra' Giocondo, impareggiabile burbero benefico, e le suore missionarie della Consolata; ricordiamo con molto affetto suor Benedetta che, malgrado i suoi 88 anni, dei quali oltre 60 trascorsi in Africa, non ha esitato un istante a recarsi a piedi in una lontana capanna per consolare con la sua presenza un abitante del villaggio colpito da un lutto quella stessa mattina.
Con simpatia ricordiamo anche le dinamiche suor Rosarita e suor Carla, sempre impegnate in mille attività che vanno dall'insegnamento del cucito a quello della produzione di insaccati, dalla fabbricazione del sapone all'assistenza medica, dall'insegnamento ai bambini delle norme di igiene a quello delle regole per evitare le mine ancora disseminate nella foresta.
Iniziano i lavori
All'indomani del nostro arrivo in missione padre Francesco ci ha presentato gli operai che avrebbero dovuto realizzare la costruzione.
Lo stato dei luoghi al nostro arrivo
Subito si è creato tra loro e Pino un rapporto di simpatia e collaborazione malgrado (o forse grazie) alla difficoltà della lingua.
Un aiuto insostituibile è venuto dal simpatico Colombo, un valido collaboratore di padre Francesco, che, pur non conoscendo l'italiano riusciva a tradurre in lingua makonde i suoi affannosi tentativi di spiegazione in portoghese-italo-napoletano (a gesti)
Si iniziano i lavori con l’aiuto di Colombo
Il risultato è stato comunque positivo, perché gli operai hanno subito recepito ed applicato i consigli e le tecniche costruttive che Pino si provava ad insegnare.
I lavori sono andati avanti celermente, malgrado le difficoltà tutte africane di reperire i materiali: il cemento sarebbe dovuto arrivare da
La pompa installata dal governo, che porta l'acqua dalla sorgente esistente nella valle sino all'altopiano, era fuori uso; di norma passano sei mesi prima che venga riparata e che funzioni per un solo giorno, per due o tre ore soltanto, prima di guastarsi nuovamente.
Il ferro da costruzione si trova, se si ha fortuna, a
Sembrava una situazione disperata, ma in una maniera o nell'altra, adattandosi alla situazione e facendo fronte con quel poco di cui si disponeva alle difficoltà giornaliere, la costruzione cresceva giorno per giorno e dopo un mese , al momento della nostra partenza da Nangololo, il rustico era terminato e mancava soltanto la copertura.
La costruzione era l'impegno principale, ma i problemi grandi e piccoli che si presentavano ogni giorno hanno richiesto per la loro soluzione che Pino mettesse a frutto le sue conoscenze tecniche e la sua predisposizione ad "arrangiarsi" e cosìsono stati rimessi in grado di funzionare una bilancia pesa neonati, il frigorifero a cellule fotovoltaiche, la cucina a legna, uno dei mulini che aveva deciso di fermarsi proprio nel pieno del lavoro, la pompa per il travaso del carburante, il trattore.
Usando i pannelli solari, ha messo in attività una radio ricevente ed un video registratore affinché i nostri missionari possano sentirsi un po' meno lontani da casa ascoltando ogni sera i notiziari dall'Italia e qualche volta vedendo, magari per la trentesima volta, una video cassetta registrata.
E' riuscito a riparare e a mettere in funzione l'impianto di amplificazione installato nella grande chiesa, senza il quale la voce di padre Francesco durante le celebrazioni si sarebbe fermata soltanto alle prime file; ha realizzato anche un rudimentale apparecchio elettrico (ridicolo perchè fatto con qualche filo e mollette da bucato) per consentire la ricarica delle batterie della videocamera, grazie alla quale, con i documentari che P. Francesco ci invia, possiamo idealmente partecipare anche noi, a
Alcune delle macchine da cucire della scuola di sartoria di suor Rosarita avevano deciso di andare in pensione, ma l'intervento di Pino è servito a rimetterle ancora in attività.
Con una di queste e con della stoffa spedita da Giovinazzo ho organizzato la fornitura delle lenzuola che serviranno per i futuri prossimi volontari
E su richiesta di padre Francesco sono riuscita a ripristinare la statua del Gesù in pessime condizioni dopo anni di abbandono ed esposizione alle intemperie.
Un altro radicale intervento per ridarle vita è stato riservato alla vecchia macchina da scrivere che Colombo usa per aiutare P. Francesco nella ciclopica opera di traduzione del catechismo dal portoghese al makonde.
La motozappa che il gruppo di collaboratori di Triggiano ha inviato a Nangololo è stata messa in attività e, dopo un breve corso di istruzione a due dei giovani makonde che lavorano in missione, è’ stato possibile in due giorni dissodare in maniera radicale tre campi coltivati per i quali, pur con le preziosissime zappe inviate da padre Benito, sarebbero occorse settimane di duro lavoro.
Con una pompa di sollevamento dell'acqua Pino ha ingaggiato un vero e proprio duello.
Eccola, la perfida pompa!
Questa vecchia pompa, ormai consumata dall'uso, serve per sollevare l'acqua piovana raccolta nella cisterna sino al serbatoio installato nel sottotetto e che alimenta i bagni e la cucina. Ogni volta che si fermava, Pino la smontava e, utilizzando ed adattando quello di cui disponeva, la rimetteva in funzione sino a quando dopo pochi giorni si fermava per un altro tipo di guasto; la lotta è andata avanti sino al giorno della partenza e sembrava che l'ultima battaglia l'avesse persa la pompa, ma le più recenti notizie da Nangololo dicono che si sia guastata nuovamente e, questa volta, definitivamente.
La situazione sanitaria
Per quanto riguarda il mio lavoro, la speranza di mettere a disposizione le mie conoscenze in campo farmaceutico non ha avuto riscontro per motivi legati alla particolare situazione del piccolo ambulatorio presente nel villaggio, nel quale opera con notevoli difficoltà anche suor Carla.
Una malattia diffusissima è la scabbia e ne sono colpiti adulti e bambini, sia per la scarsa conoscenza di elementari norme di igiene, sia per la difficoltà di approvvigionarsi di acqua nella quantità necessaria.
Quel piccolo quantitativo di sapone allo zolfo che avevo portato con me dall'Italia è stato diviso in tanti piccoli pezzi, distribuiti insieme ai consigli igienici a quanti sono venuti alla missione in cerca di un rimedio per questa malattia.
Una provvista di medicinali, che avevo portato con me dall'Italia, si è dimostrata provvidenziale quando attraversavamo i villaggi nella foresta accompagnando P. Francesco che si recava a celebrare
Ho distribuito quello che potevo dividendolo tra quanti più bimbi possibile, insegnando alle mamme come somministrare le medicine; la lingua non è stata un problema, perché lo sguardo ed i gesti accompagnati dai sentimenti che in quei momenti provavo erano sufficienti a stabilire un rapporto di comunicazione.
In quei momenti comprendevo il senso di quello che P. Francesco mi ripeteva continuamente nei miei momenti di sconforto per non conoscere una parola di makonde: "Non preoccuparti, tu non te ne rendi conto, ma comunichi con il cuore e quella è una lingua che non ha confini ".
Sentivo in me un senso di impotenza che mi soffocava: avrei voluto poter fare tanto di più, aiutare tutti quei bambini, ma non ne avevo la possibilità ed invece l'aiuto sanitario era la cosa più necessaria.
La situazione delle strutture mediche nella zona è, a dir poco, allucinante; abbiamo avuto l'opportunità di visitare l'ospedale di Mwatide che si trova a
Da parte delle autorità locali era stata richiesta a padre Francesco la redazione di un preventivo di spesa da presentare alle autorità governative per ottenere un finanziamento finalizzato al ripristino dell'ospedale. Con Pino ci siamo recati sul posto nel pomeriggio dello stesso giorno per procedere ai rilievi necessari a redigere il documento richiesto, ma ci siamo trovati di fronte ad una realtà che ci ha letteralmente sconvolti. Nell'ospedale non c'era acqua corrente e la cisterna esterna per la raccolta dell'acqua piovana era vuota a causa del pessimo stato delle pareti. Ai fini delle indagini per il lavoro che ci avevano richiesto, domandammo al responsabile se ci fossero i servizi igienici. La risposta fu affermativa, ma, poiché ci chiedevamo dubbiosi come potessero essere funzionanti senza essere collegati ad una riserva d'acqua che potesse alimentarli, decidemmo di esaminarli; ci fecero visitare i bagni e scoprimmo così che i rubinetti erano un unico blocco di ruggine e che, su tre vasi, ben due erano stati riempiti di cemento sino all'orlo superiore per evitare che venissero utilizzati in quanto, naturalmente, non esisteva nessun impianto fognario al quale inviare poi i liquami. In conseguenza si può immaginare in quali condizioni fosse l'unico bagno in funzione e quali potessero essere le condizioni igieniche in cui i malati, che comunque affluivano all'ospedale, erano costretti a vivere.
Ci hanno mostrato la sala parto: consisteva in una grande stanza con tre reti arrugginite e deformate che in origine avrebbero dovuto essere dei letti, con sottili materassi di spugna a brandelli, annerita dalla polvere e dallo sporco; l'intonaco su pareti e soffitto era ormai un lontano ricordo, il pavimento sconnesso, i muri anneriti, le finestre consistenti nel solo telaio chiuso da una rete anch'essa rotta in più punti, con assenza quasi totale di vetri. Nelle stanze a sei o otto letti, con una parvenza di materasso, ma senza alcun lenzuolo, convivevano partorienti, ammalati di tubercolosi, bambini ed anziani, in attesa di non si sa cosa, dal momento che non vi erano medici, infermieri, medicinali che potessero alleviare le loro sofferenze.
Ci siamo sentiti impotenti e sopraffatti da questa situazione che ci è parsa senza speranza, almeno a breve termine. Al ritorno in missione, dopo aver completato il lavoro richiestoci dall'amministratore del villaggio, abbiamo espresso a padre Francesco la nostra costernazione per quanto avevamo visto e le nostre riflessioni sull'impossibilità di lavorare in simili condizioni per un medico che avesse sentito il bisogno di portare il suo aiuto ai malati.
E come sempre P. Francesco ci ha iniettato una buona dose di ottimismo e di fiducia, esaminando la situazione sotto una luce diversa da quella nella quale noi, popoli progrediti, siamo abituati a vedere le cose.
Non le "cose", ma le "persone"
La cosa che più ci ha colpito nella nostra esperienza in Africa è che in quel mondo, e forse in misura maggiore nelle zone nelle quali operano i missionari, non esistono le "COSE" ma le "PERSONE": quanti di noi si sentirebbero, e non per ragioni fisiche, di spostarsi a piedi anche di cento km lungo i sentieri della foresta per andare a consolare i familiari di un amico o di un parente colpiti da un lutto, o anche per partecipare alla gioia di una nascita o ad una festa?
Ben pochi, credo; ed invece abbiamo visto intere famiglie, con bambini piccoli che portavano al collo i fratellini ancora più piccoli, venire a Nangololo da villaggi distanti 25 -
Ci si rende conto che in Africa il tempo acquista una dimensione del tutto particolare, più a misura d'uomo: vengono esaltati i rapporti di amicizia, familiari e di gruppo, tutte cose che i popoli che personalmente considero più progrediti, ma non più civili, hanno dimenticato perché sempre più tesi al possesso delle cose: ne avremmo di cose da imparare nuovamente in questo campo dalle popolazioni d'Africa !
Abbiamo lasciato un pezzetto del nostro cuore a Nangololo e pensiamo spesso alle persone che vi abbiamo conosciuto, alla popolazione makonde che ci ha donato delle sensazioni nuove ed esaltanti.
Quando siamo partiti dall'Italia ci chiedevamo se saremmo stati utili, se avremmo dato qualcosa di noi a chi ci avrebbe ospitato nella sua terra; siamo ripartiti invece sentendo che loro ci avevano regalato qualcosa con le dimostrazioni di affetto e di amicizia di cui ci hanno fatto oggetto.
I sogni di P. Francesco
Ed abbiamo portato con noi anche un po' dei sogni di padre Francesco, sogni che, avendolo conosciuto più profondamente, siamo sicuri che prima o poi riuscirà a realizzare.
Il più importante è quello di riuscire a perforare un pozzo per portare l'acqua dalla sorgente sull'altopiano; questo permetterebbe di migliorare anche le condizioni igieniche e quindi la vita della popolazione del villaggio perché si allevierebbe la fatica di recarsi alla sorgente nella valle e tornare al villaggio con soli venti litri di acqua, quanti ne può portare in bilico sulla testa una donna. Quel quantitativo deve servire all'intera famiglia per bere, cucinare e lavarsi per tutto il giorno ed in queste condizioni si comprende come tutti i discorsi sull'igiene risultino quasi inutili; se però vi fosse una maggior facilità di approvvigionamento, sarebbe più facile inculcare questi principi ed i miglioramenti si vedrebbero immediatamente.
Dal sogno, padre Francesco è già passato all'azione ed ha avviato il progetto interpellando un geologo che lavorava a
Un altro dei suoi progetti è quello di fondare una scuola di artigianato che serva a non disperdere il patrimonio culturale dei Makonde e la loro stupefacente abilità nel lavorare il legno dal quale creano delle vere opere d'arte. Anche questa è promozione umana e tramandare queste tradizioni ha un particolare significato per una popolazione che per 16 lunghi anni ha vissuto la brutta esperienza di una guerra civile che ne ha disgregato il tessuto sociale.
Ora che finalmente quel triste periodo si è concluso, abbiamo incontrato nella foresta famiglie che cominciavano a costruire un nuovo gruppo di abitazioni dove c'era qualche sorgente; vederli all'opera, con i bambini che giocavano rincorrendo qualche magra gallina, sul terreno strappato alla foresta, che in futuro sarà la piazza del villaggio, ci ha dato la sensazione tangibile del coraggio e della speranza che animano questo popolo fantastico.
Una ulteriore conferma viene dal lavoro delle comunità che padre Francesco ha formato ed avviato in ogni villaggio della missione: sono il segnale di una società che sta rinascendo e nella quale un posto importante è assegnato proprio all'opera dei missionari, siano essi religiosi o laici, che con la loro presenza ed operatività contribuiranno in maniera decisiva allo sviluppo civile e sociale di un popolo che comincia a ricostruire il proprio futuro.
Cosa ci è rimasto della nostra esperienza africana?
Tante sensazioni, difficili da esprimere a parole, ma che certamente non dimenticheremo e, soprattutto, un gran desiderio di ritornare con la voglia di fare, di agire e di ricambiare ai tanti amici che vi abbiamo conosciuto una piccola parte di quanto ci hanno dato con il loro cuore.