VIAGGIARE IN MOZAMBICO ... CHE AVVENTURA!!!
di Giuseppe Gammarota
Viaggiare in Mozambico molto spesso è un’avventura, specie nel periodo delle piogge e quando è necessario raggiungere posti lontani con mezzi occasionali.
Con Zòzimo, l’economo dell’Orfanotrofio, a metà gennaio, siamo partiti da Quelimane per raggiungere Chinde, isola nel delta del fiume Zambesi, distante in linea d’aria circa 60 chilometri, abbiamo impiegato tre giorni all’andata e due per il ritorno. Utilizzando mezzi privati, i “chapa”, abbiamo dovuto fare percorsi alternativi per circa 300 Km, in parte su strade asfaltate e in parte sterrate ed in alcuni tratti argillose, per raggiungere un approdo sul fiume Zambesi dal quale imbarcarci su un barcone a motore per percorrere altri 70 Km. nel viaggio di andata e circa 100 Km. in quello di ritorno.
Eravamo partiti nella mattinata da Quelimane dopo ore di attesa. Quando si prende un “chapa”, piccolo minibus, non si sa a che ora si parte, perchè si deve attendere che sia occupato in tutti i suoi posti. Sui tre ordini di sedili dovevano sedere in nove persone ed invece stringendoci un po’ ci siamo accomodati in dodici e, quando sembrava che si era sul punto di partire, ecco che arrivano altri tre passeggeri per fare accomodare i quali abbiamo spostato i nostri pochi bagagli. In fine, stretti come sardine,eravamo in 18, con l’autista ed un aiutante. Dopo quasi 4 ore di viaggio, reso ancora più difficile dal gran caldo, arriviamo a Mopeia dove pernottiamo. La notte purtroppo piove a dirotto ed il mattino successivo, per quanto soleggiato, non incontriamo alcun “chapa” che si reca a Luabo poiché la strada, sterrata ed argillosa, non è percorribile. Ed allora restiamo lì sulla strada con i nostri bagagli nella speranza che passi qualcuno che ci dia un passaggio e così avviene nella tarda mattinata. Questa volta il“chapa” è un camioncino carico di merci, sul quale trovano posto anche circa 25 persone, molte delle quali bambini. Per fare 70 km. abbiamo impiegato oltre quattro ore, sia per le pessime condizioni della strada, sia per due forature che ci hanno costretto a percorrere gli ultimi 20 Km. con solo tre ruote.
A Luabo, le imbarcazioni dirette a Chinde erano già tutte partite: pernottiamo nella vecchia missione dei frati cappuccini. L’occasione mi ha permesso di conoscere la condizione di povertà assoluta della gente che ricorda con nostalgia tempi migliori, quando esistevano lo zuccherificio, le case in mattoni, le scuole, i negozi e la stessa missione distrutti poi durante la guerra, ora in condizione di estremo degrado. Ci raccontano di come si viveva quando lo zuccherificio, fra i più grandi ed efficienti di tutto il continente africano, era funzionante: c’era lavoro per tutti e la popolazione cominciava ad emanciparsi costruendosi anche case in muratura con acqua corrente ed energia elettrica, “ci chiamavano il piccolo Brasile” dicono. Ora invece, girando per quella piccola comunità, si notano solo segni di distruzione,povertà e sofferenza, non c’è acqua potabile e bevono l’acqua del fiume Zambesi, l’energia elettrica viene erogata per poche ore solo la sera.
L’indomani siamo partiti per Chinde nella tarda mattinata con un’imbarcazione stracarica di merci e di persone. Anche questa volta, quando tutto sembra pronto per la partenza, ecco compare l’imprevisto, vediamo smontare l’elica ed un pezzo del motore, sentiamo per due ore un intenso martellare ed un armeggiare di strumenti meccanici, poi finalmente sentiamo il rombo del motore. Si parte! Ogni tanto durante la traversata ci arriva un vibrante invito a spostarci ora da un lato, ora dall’altro della barca, perché la stessa si inclinava in modo pericoloso. Dopo sette ore di traversata si giunge finalmente nel porticciolo di Chinde: è già buio pesto. Si scende dalla barca a fatica con l’acqua che arriva fin sopra le ginocchia, con l’ausilio di una lampada a pile ci si avvia verso la casa dei padri. A Chinde, piccolo centro in capo al mondo,non c’è energia elettrica, viene erogata solo qualche ora la sera quando c’è carburante per alimentare il gruppo elettrogeno; manca l’acqua potabile e c’è tanta povertà.
A Chinde resto tre giorni in compagnia degli splendidi bambini dell’Orfanotrofio e poi si riparte. Un viaggio di ritorno non meno imprevedibile di quello dell’andata. Ci si incammina a mezzanotte sotto la pioggia verso il porticciolo a lume di lampada a pile. La partenza viene rinviata di ora in ora; dopo un’attesa sfibrante sotto la pioggia, alle quattro del mattino, saliamo su una piccola imbarcazione a motore, che mezz’ora più tardi finalmente parte. La pioggia a tratti è molto intensa e tira un forte vento. La traversata dura dodici ore, perché si decide di proseguire per Marromeu, essendoci giunta notizia che il tratto di strada Luabo-Mopeia è impraticabile e quindi si rischia di restare bloccati per giorni a Luabo. In prossimità di Marromeu il barcone si insabbia e occorre circa un’ora per rimetterlo in sesto. A Marromeu non troviamo passaggi per Caia e Quelimane, allora decidiamo di pernottare per ripartire l’indomani. Alle quattro del mattino siamo già per strada sotto una pioggia battente e riusciamo a trovare un passaggio per Caia su un camion a sei assi che trasporta zucchero. La strada sterrata che va da Marromeu a Ciaia, sotto l’imperversare della pioggia insistente,diventa pericolosamente melmosa. Il camion, dopo circa 30 Km, slitta su un tratto argilloso e si interra inclinandosi pericolosamente su un lato. A nulla valgono gli sforzi per rimetterlo su strada. Ci troviamo nel mezzo della foresta con il rischio di passarci la notte. Per fortuna, dopo circa tre ore, passa un’auto diretta a Quelimane, ci dà un passaggio! Il percorso sino a Caia è pieno di imprevisti per le cattive condizioni della strada, molti mezzi pesanti sono interrati, ostruendo la strada.
Nella tarda serata giungiamo finalmente a Quelimane ponendo fine ad un viaggio estenuante che alla fine assume per me il sapore dell’avventura, ma per la gente di qui è una sconsolante quotidianità.
Siamo arrivati a Quelimane sotto una pioggia intensa, che è durata interrottamente per altri cinque giorni, effetto del ciclone Funso, che ha causato gravi danni a persone e cose. Anche questa è una calamità ricorrente con cui la gente deve convivere.