PER REALIZZARE UN SOGNO

di Bernardino Sgobba

Perchè un viaggio in Mozambico

Nel mese di luglio ‘95, quando P. Francesco Monticchio passò da Termoli, dove vivo e mi occupo di impianti termici e idraulici, mi accennò ad un sogno. E’ il sogno di tutta la Comunità della Missione di  Nangololo: installare una piccola centrale idroelettrica presso la sorgente per produrre energia e per portare l’acqua al villaggio, che dalla sorgente dista tre chilometri, un sentiero scosceso e accidentato, percorso naturale scavato dalle acque di scolo, che ogni giorno  le donne percorrono agilmente, ma faticosamente, portando sul capo un recipiente con 20 litri d’acqua, i panni lavati, la verdura e, spesso, un bimbo sulle spalle.

Per  questo motivo sono stato in quei posti splendidi, dove ho trovato gente meravigliosa e dove ho imparato il vero senso della vita. Ciò che più mi dispiace è che certamente non riuscirò a far comprendere a pieno ciò che ho visto e ho provato: su un’ora vissuta lì potrei discutere a lungo, senza riuscire a renderne un’idea precisa.

 

Maputo

Il viaggio è stato tutta un’avventura dall’inizio alla fine.

P. Francesco mi aspettava a Maputo, con suor Lisette e altre Suore francescane. Il giorno dopo con P. Francesco siamo andati al Ministero della Pubblica Istruzione per il disbrigo delle pratiche per l’apertura della Scuola Media a Nangololo e poi al Ministero delle Comunicazioni per chiedere i permessi per l’istallazione nella missione di una radio che serva a comunicare con i villaggi nel raggio di 50 chilometri.

La giornata è proseguita intensa con la visita al Nunzio Apostolico, con cui ci siamo intrattenuti sul motivo del mio viaggio, ad una ditta costruttrice di pozzi artesiani e a P. Prosperino Gallipoli, cappuccino, che da molti anni si occupa di un’opera colossale, l’organizzazione delle “Zonas Verdes” intorno a Maputo. Si tratta di numerose cooperative agricole, di allevamento di polli di artigianato, di produzione di mangimi ecc. che occupano circa 10 mila persone a cui è assicurata una vita dignitosa, nonchè scuole e asili per i bambini e formazione tecnica per gli adulti. P. Prosperino è una persona molto conosciuta e stimata nella capitale, ma proprio per  le numerose e gravi responsabilità è una persona che rischia e si espone molto.

Ho visitato le Suore Francescane, conoscendo alcuni dei 300 bambini della strada a cui riescono ad assicurare l’unico pasto caldo della giornata. Ora stanno costruendo una casa di accoglienza per bambine orfane o in situazione difficile Pochi giorni prima avevano subito il furto del furgoncino Toyota, così prezioso per il loro apostolato. Mi ha molto colpito la forza di volontà con cui queste Suore vanno avanti, nonostante le difficoltà, come pure quelle di Madre Teresa di Calcutta, alla periferia di Maputo, che allestiscono una mensa giornaliera per 7/800 orfani di ogni età (un centinaio fissi). Si occupano anche di molti neonati la cui madre è morta di parto.

 

Quelimane

A Quelimane ho incontrato con commozione Alice, una ragazza che, venuta in Italia per avere un trapianto di cornea, per 4 anni fu ospite di mia sorella e ricevette la cornea di un mio fratello morto un anno dopo il suo arrivo.

Il mattino seguente il mio arrivo a Quelimane, i frati mi avevano organizzato una visita all’isola di Inhassunge. Con P. Bruno attraversai il fiume su un barcone indescrivibile, un vero ferro vecchio galleggiante su cui si ammassavano alla rinfusa cose, persone, bambini, biciclette, sacchi di cocco, galline ed altri animali. All’arrivo avremmo dovuto trovare P. Gaetano, ma non c’era. Decidemmo d’ incamminarci per l’unica strada che porta alla missione. Il caldo era insopportabile. Dopo aver inviato due messaggi a P. Gaetano tramite due carri stracolmi di gente che ci avevano superato, finalmente vedemmo sbucare la sua jeep da una nuvola di polvere. Non aveva ricevuto il messaggio inviatogli il giorno prima da Quelimane, lo portò un uomo mentre eravamo a pranzo.

Provai un’enorme commozione sul luogo in cui il mio caro amico P. Camillo fu trucidato insieme a P. Francesco Bortolotti ed a fra’ Oreste, tre martiri che hanno dato tutto per la missione, fino al sacrificio della vita.

Con P. Gaetano abbiamo discusso a lungo cercando delle soluzioni tecniche sul modo di costruire il tetto della chiesa di Muinje, dedicata a P. Camillo e che, ormai in costruzione da anni, si avvia alla conclusione, sulla costruzione di una veranda che ripari la casa della missione dalla pioggia e sul sistema per rinforzare gli argini del fiume che, corrodendo il terreno, quasi minaccia la casa.

Visitando il piccolo ospedale dove erano ospistati una lebbrosa e un tubercolotico tenuto segregato perchè non scappi e diffonda il contagio, ho visto contenitori di farmaci con il nome dell’UNICEF e della Croce Rossa: è consolante notare che gli aiuti arrivano a destinazione, malgrado le lentezze e i mille rivoli che li assottigliano. Pensai che gli aiuti che il Segretariato Missioni invia ai Frati certo fruttano molto di più, evitando colossali sprechi: si eliminano molti passaggi, la raccolta del materiale e la spedizione viene fatta da volontari,  la distribuzione e l’utilizzazione è operata direttamente dai Missionari per progetti mirati alle esigenze effettive della gente.

Nell’infermeria dell’ospedale vidi una ragazza di non più di 15 anni con in braccio la figlioletta, una bimba dal visetto sfigurato dal fuoco su cui era caduta sfuggendo dalle braccia della madre-bambina. Riuscii a convincere i Padri a prenderla con noi nel viaggio di ritorno e ad accompagnarla all’ospedale di Quelimane. Colpito dal dramma di quelle creature così indifese, faticai a comprendere quello che i Padri tentavano di spiegarmi: bastava guardarsi attorno per vedere centinaia di casi ben più gravi di quello della bimba, come fare ad aiutare tutti? è giusto finalizzare risorse ed energie ad un aiuto individuale, piuttosto che alla causa sociale che, tentando di migliorare le condizioni di vita, renda la gente meno soggetta al bisogno, meno schiava della povertà e della malattia? In sostanza i Missionari, non potendo risolvere i mille bisogni dei singoli, lavorano per migliorare lo standard di vita della collettività.

 

Nangololo

Lasciata Quelimane,  P. Francesco ed io siamo partiti alla volta di Nampula. Faceva un gran caldo. Le strade erano pessime, cosparse di grosse buche e in alcune zone ogni 200 metri letteralmente tagliate, era il sistema usato dalla Renamo durante la guerra per interrompere le comunicazioni e distruggere i traffici nel Paese.

All’ora di panzo facemmo una sosta per mangiare qualcosa. Pensavamo di essere soli, ma dalla foresta ogni tanto sbucava qualcuno. Diversamente che in città, dove la richiesta di elemosina è continua e pressante, qui la gente ci osservava, senza osare di chiedere nulla. Con meraviglia ho constatato che alla nostra offerta piuttosto che il cibo, preferivano del sapone.

Dopo una sosta a Nampula, procedemmo per Pemba. Lì dovetti mettermi a letto per smaltire un attacco di febbre alta che mi aveva già assalito durante il viaggio, forse per la stanchezza. La febbre e dosi eccessive di antibiotici mi buttarono così giù da dover trascorrere tutto un giorno a letto. I missionari e le suore non mi fecero mai sentire solo, prendendosi affettuosamente cura di me.

Anche P. Francesco iniziò ad avere febbre, ma nonostante ciò partimmo di buon ora alla volta di Nangololo. Erano con noi la Madre Superiora delle Suore della Consolata e un’altra suora brasiliana. 0Era splendido vedere la gioia di P. Francesco man mano che ci avvicinavamo alla Missione. Appena arrivati l’accoglienza fu trionfale: canti, balli, saluti con la particolare triplice stretta di mano dei Maconde. Conobbi Suor Benedetta, una meravigliosa piccola suora di 88 anni, a Nangololo dal 1933, 62 anni  dedicata alla missione tra i Makonde che hanno per lei una vera venerazione e di cui lei conosce perfettamente lingua e costumi.

Il progetto

La domenica mattina nella chiesa affollatissima la messa durò 4 ore: un’esperienza unica. La messa è vissuta veramente come momento gioioso di ringraziamento, di lode, di incontro, di comunione. La gente non ha mai fretta in Africa, men che meno quando vive la sua festa, e la domenica è occasione di festa, soprattutto quando arrivano gli ospiti in onore dei quali si organizzano canti e balli, accompagnati dalla tradizionale offerta di doni.

Quando durante la messa P. Francesco mi presentò alla gente spiegando il motivo della mia visita e i vantaggi che sarebbero potuti derivare dalla istallazione di una centralina idroelelettrica, notai sul volto di tutti un grande interesse. Forse non a tutti il senso del mio lavoro fu chiaro, ma molti ne compresero il valore; lo capii dall’interesse con cui mi seguirono nel primo giorno d’ispezione alla sorgente, dall’attenzione con cui cercavano di rispondere alle mie domande sullo stato dei luoghi, dalla solerzia che dimostravano nel dare una mano e nella volontà di partecipare al lavoro.

Il giorno seguente scendemmo alla sorgente. Accompagnati da una ventina di persone camminammo a lungo in una valle stretta e boscosa. Erano le otto del mattino e il caldo era torrido. La vegetazione emanava un profumo intenso, facevo fatica a respirare, mi staccai dal gruppo per sedermi sotto un albero a riposare, ma mi sentii venir meno, mentre il pensiero vagava ai miei figli e a mia moglie.

Quando mi ripresi ero steso su un letto di foglie di banana e sentii qualcuno che stava pregando fervorosamente, era P. Francesco, gli toccai il braccio.

Aveva mandato a chiamare le suore. Malgrado la distanza, dopo pochi minuti mi erano intorno con tutti i mezzi di soccorso di cui disponevano, siringhe rianimanti, acqua, caffé, misuratore della pressione. Tra tutti i presenti c’era stato un momento di smarrimento, ma anche un’eccezionale compattezza e rapidità nell’organizzare i soccorsi a me necessari.

Il giorno dopo fu di forzato riposo, e mi dedicai alla stesura di un progettino, da presentare al Ministero della Cultura, per la divisione di una costruzione vicina alla casa da adibire a scuola. Ne ricavai aule, la segreteria, un salone e i servizi igienici. Vedendo quel progetto anche le suore mi chiesero di farne uno per la loro casa, in modo da rendere indipendenti le varie stanze.

Sentendomi meglio, malgrado il parere contrario di P. Francesco, decisi fermamente di riprendere i lavori. Preparai gli attrezzi, l’asta metrica e il rotolo di tubo che mi ero portato dietro dall’Italia. Una squadra di uomini andò a disboscare gli argini del torrente per mezzo chilometro, dove avrei dovuto fare le misurazioni. Per precauzione, oltre ad un maggior numero di aiutanti , questa volta mi seguivano anche le suore con tutto l’occorrente per il pronto soccorso. Sul volto della gente era tornata a splendere la speranza e la gioia per il mio ritorno al lavoro. Tutti collaboravano al massimo per non farmi stancare. Oltre alle due suore che mi seguivano come angeli custodi, due ragazzini si contendevano il privilegio di portare il mio blocco per gli appunti.

Gazie a tanto aiuto ho potuto fare uno sbarramento del torrente, misurarne la portata e fare le misurazioni di dislivello di quota.

Pur riservandomi di sviluppare i rilievi fatti al mio rientro in Italia, cominciai ad avere dubbi sulla possibilità di realizzare il progetto: dato lo scarso dislivello e la portata limitata si potrebbe ricavare appena un KW/ora, troppo poco perchè valga la pena realizzare l’opera.

Salutando la gente, ho espresso i miei dubbi sul risultato positivo della mia indagine, ma mi sono anche impegnato a trovare soluzioni più idonee affinchè il sogno di P. Francesco si possa comunque realizzare.

Adesso sono ricchi di speranza.

 

Ritorno

La mia permanenza a Nangololo era terminata e, con grande dispiacere della gente, dovette partire con mem anche suor Benedetta, per motivi di salute. 

Partimmo per Pemba (400 km) di buon ora,era prevista una sosta dopo 150 km, nel villaggio più lontano dalla missione, dove P. Francesco avrebbe dovuto dire messa. Ma dopo cento km si ruppe l’ammortizzatore del jeep. E’ stata una ventura trovare in una zona con 20 capanne un tondino di ferro ed un fil di ferro per tentare di aggiustarlo. Intanto inviammo una suora chre era con noi a Pemba per chiedere soccorsi con un camion di passaggio che al tramonto vedemmo bloccato in mezzo alla strada. Indescrivibile il panico nel vedere che la suora non era sul camion. Sapemmo poi che aveva proseguito con un altro mezzo di fortuna. Sfiniti e preoccupati per suor Benedetta, arrivammo a Pemba a casa delle suore verso le 22, un quarto d’ora prima della suora che ci aveva preceduto...

Ci vollero due giorni per riparare il jeep, saltarono così tutti programmi e dovetti partire direttamente per Maputo. Mi rattristò molto non solo lasciare quella splendida terra e tutte quelle persone così sincere e ricche di amore, ma anche il mio compagno di viaggi e di avventure, P. Francesco che sarebbe rimasto solo.

Da Maputo a Joannesburg viaggiai in pullman ed ebbi modo di notare il grande divario che c’è tra il Sudafrica e il Mozambico.

Oggi ringrazio il Signore del grande dono che mi ha fatto permettendomi di fare questa splendida esperienza che è per me uno stimolo ed un impegno ad adoperarmi nelle mie possibilità per aiutare quei fratelli lontani.