MAMA' PACIENCIA
di Antonietta Sgobba
Paciencia il è nome di una barca, ma anche l’icona della sua padrona, Maddalena, che così l’ha voluta chiamare.
Partiamo da Quelimane alle sei di mattina, cinque ore di fuoristrada via Mopeia fino a Luabo, antico porto dello zucchero sullo Zambesi. La Paciencia ci attende per portarci a Chinde, ultima delle molte isole del delta, tra due bracci dello Zambesi e l’Oceano Indiano. Il buco del mondo, come lo chiamano i missionari.
Per 5 ore la barca solca le acque agitate, seguendo la corrente del fiume e della marea verso il mare.
Per tutto il viaggio Maddalena non parla, non mangia, non beve. Sul suo viso, l’ombra scura del dolore; forse nella sua mente passa il film doloroso della malattia e della morte improvvisa di Padre Renato, il promotore del proggetto “Chinde chiama Bari” finalizzato alla costruzione di un orfanotrofio per i 45 bambini che Maddalena ha accolto nella sua casa, salvandoli da situazioni di abbandono, di violenza ed anche di estremo pericolo di vita.
1987, Suor Maddalena, al ritorno da Mocuba dove aveva compiuto il corso di infermiera, trova che venti di guerra soffiano nella sperduta isola di Chinde. Appena a due chilometri dall’abitato si è stabilito il quartel (centro di comando) della Frelimo. Le suore abbandonano la missione, la gente fugge, la cittadina si svuota, i malati fuggono dall’ospedale, anche i feriti con le gambe ingessate e quelli gravi con ferite aperte. Nella notte razzi traccianti segnalano la presenza dei guerriglieri della Renamo, lo scontro a fuoco può essere vicino. Correndo verso casa, Maddalena incontra i primi bambini soli, tre, il più piccolo è Narciso, poliomelitico, i genitori sono stati uccisi. Li porta con sé, uno in braccio, gli altri attaccati alla veste, li vuole nascondere in casa. Un militare della Frelimo le sbarra la strada: “Fuggi, l’avverte, fuggi con gli altri!.” “Si’, sto andando!” Ma dove? Chi le darà una barca, per lei e per i suoi bambini?, andare dove con questi piccoli? nella boscaglia incontro a che cosa? da che parte? Meglio restare, meglio morire in casa. Un altro soldato avanza con l’arma spianata:”Cosa fai qui? fuggi!” “Sto fuggendo!”. Ma la decisione è presa!
Poi altri bambini si sono aggiunti. Una bimba l’ha salvata da morte certa: secondo una barbara usanza doveva essere sepolta viva con la madre morta.
Il racconto si spegne alla luce incerta della candela; è la sera del congedo da questa donna forte, oggi stanca di anni, di privazioni e di dolore, stanca non nel fisico, lei precisa, ma nella testa. Non ci sentiamo di condannarla per lo stato di estremo degrado in cui versano i bambini! Siamo rimasti scioccati vedendoli mangiare con le mani nel piatto, seduti per terra, come i cagnolini che circolano tra loro annusando nei piatti e approfittando delle briciole che restano. Non possiamo condannarla se uno dei piccoli è stato ustionato da un altro bimbo nell’inguine con un tizzone ardente, mentre lei era via a Quelimane per assistere Padre Renato; nè se i bimbi dormono per terra accucciati su una stuoia, non ci sono letti, del resto qui è una cosa molto comune, né se la sporcizia è un secondo vestito, non hanno sapone. No, Maddalena, non possiamo condannarti! A 72 anni lavori ancora come infermiera nell’ospedale locale, lo stipendio serve per andare avanti e 45 bocche da sfamare sono tante.
Nella casa di Maddalena è ora di cena, tutto si confonde tra il nero della notte e della miseria. In un angolo una ragazza singhiozza forte: è una delle figlie più grandi, venuta a piedi da 30 chilometri di distanza che apprende solo ora che papà Renato non c’è più. Poi mi dirà che ha due figlie, che il marito l’ha lasciata per un’altra donna. Come farà ora mamà senza aiuto e con poca salute? Si chiede sconsolata!
Intorno spuntano visetti di tutte le età, divertiti nel vedersi ripresi dalla macchina digitale. Divorano il loro piatto di riso, non importa se è un po’ bruciacchiato e condito solo con un pesciolino secco. Jo è il più vivace di tutti, si strofina al mio braccio come un gattino che fa le fusa, è una chiara richiesta di carezze. Mangia un mango acerbo: “Mamà Maddalena, non gli verrà mal di pancia?” “Se glielo tolgo, ne prenderà un altro”- mi risponde. Capisco tutta la stanchezza che cela questa risposta; mamàMaddalena non ce la fa più, non ce la può fare da sola con 45 bambini, come condannarla?
Di fronte alla casa che trasuda miseria, sta sorgendo la nuova sede dell’orfanotrofio. Un cartello con i dati porta scritto: “Orfanotrofio di Chinde, donatori: Chinde chiama Bari, patrocinato daí Missionari Cappuccini, tempo di esecuzione:18 mesi”. Sono passati gia’ due anni dall’inizio dei lavori, tutto procede a rilento in un paese che si trova alla fine del mondo, dove anche le pietre sono trasportate via terra e poi via fiume da 250 chilometri e tutto l’altro materiale da molto più lontano. I muri sono all’altezza delle finestre, il lavoro è fermo per mancanza di ferro e di legno da costruzione, molto lentamente gli operai fanno i mattoni con sabbia e cemento seccati al sole, uno alla volta, uno su tre si disfa. Forse per Natale ci sarà il tetto?
Mamà segue con gioia ed ansia questa costruzione. E poi?...
Alle tre di notte ci avviamo verso il fiume per riprendere la Pacienciaper il viaggio di ritorno Sotto le palme si sentono suoni di batuque(tamburi): danzano per tutta la notte per evocare gli spiriti, finché qualcuno in trance comincerà a correre verso il fiume, così ci spiega il pilota.
Il vento che poco prima pareva scuotere l’isola si va calmando e Paciencia scivola sul fiume d’argento sotto la luna. Il pilota la guida sicuro, ora bordeggiando la costa, ora tagliando le ampie anse, seguendo una bussola invisibile. Siamo 15 persone a bordo; tranne il pilota ed il motorista, tutti dormono. Io non posso, nella mente il ricordo di 45 creature e della loro mamà Paciencia si fa martellante,in una notte piena di mistero e di domande senza risposte, scandita dal ritmo del motore che spinge una barca sullo Zambesi.